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sabato 16 gennaio 2010

La Svimez per la Regione

Se un sondaggio di fonte non inattendibile lo condanna all´ultimo posto nel quadro delle preferenze date dagli elettori ai governatori regionali, Antonio Bassolino reagisce prontamente dicendo: «I sondaggi veri sono quelli che si fanno alle elezioni, con voti reali». Lo dice sulla spinta di uno smisurato orgoglio o per calcolato tatticismo, di fatto afferma che i sondaggi per conoscere gli orientamenti elettorali sono per definizione poco veritieri. Ma si può non dare importanza alle affermazioni di Bassolino, visto che lui non sarà nelle liste delle prossime elezioni regionali. C´è da credere invece che il Partito democratico sbaglierebbe non poco se presentasse poca attenzione a un sondaggio di “Ballarò” che ha confermato l´ancora grande vantaggio in ambito nazionale del partito di Berlusconi: un buon 39 per cento, dieci punti percentuali in più rispetto al Pd, e con la Lega Nord che naviga verso il 10 per cento dell´elettorato. Ma un altro dato diffuso dalla stessa trasmissione di Raitre dovrebbe specificamente interessare il Partito democratico: se c´è il 35 per cento dell´elettorato che vota “comunque” per lo schieramento di appartenenza, esiste per contro il 30 per cento dei votanti che decide valutando propriamente la qualità dei programmi e degli uomini chiamati ad attuarli.Questo tipo di elettore non è mai mancato nell´universo socio-politico italiano, ma oggi sembra rappresentare una fetta di elettorato più ampia, un fatto rilevante soprattutto se si considera che in questi anni, con l´avvento di Berlusconi in politica, si è accentuata la propensione a favorire i partiti guidati da leader carismatici. Non è possibile accertare se il Pd sia già precipitato in un punto di non ritorno, cagione più prossima il travagliato ritardo, a dir poco, nella formazione delle liste regionali e la scarsa connotazione data alla elaborazione dei programmi. Ma è anche vero che lo schieramento avversario non ha sullo stesso terreno offerto uno spettacolo migliore, per cui la partita, da questo punto di vista, potrebbe chiudersi in parità. Resterebbe così in piedi la valutazione di puntare decisamente su quella non trascurabile parte di elettori che guarda al programma e al profilo degli uomini, recuperando nei prossimi due mesi una impostazione programmatica più visibile quanto rigorosa.Seconda regione italiana per numero di abitanti (prossimo ai sei milioni) e regione leader del Mezzogiorno (come tale le spetta un ruolo di coordinamento nella Conferenza Stato- Regioni meridionali), la Campania è stretta dalla necessità di dover operare con rigore programmatico su due piani distinti ma non separati: un costante rispetto delle regole di buongoverno per non disperdere le risorse disponibili e garantire ad esse il migliore impiego produttivo; e, allo stesso tempo, perseguire una strategia di sviluppo con un vero e proprio piano che rafforzi il grado di competitività territoriale per richiamare investimenti dall´esterno e accelerare la crescita dell´economia industriale della regione. Negli ultimi tempi la giunta Bassolino qualcosa ha cominciato a fare in direzione di ciò che la cultura liberale chiama “buongoverno” (per esempio, riducendo il numero spropositato di consulenti), ma siamo ancora sul terreno di interventi episodici. Occorre definire il quadro, nella mappa delle gestioni regionali, di tutte le fonti di inefficienza e di parassitismo, e impegnarsi di fronte agli elettori a eliminarle in tempi certi. Nell´attuale fase della crisi economica, si può prevedere che aumenterà il fabbisogno di risorse per alleviare la crisi sociale (disoccupazione, precariato, povertà), e anche a questo specifico riguardo la regione dovrà intervenire con regolarità con più costanti misure di welfare.Ma occorre un serio realismo per non fallire nell´impegno di redigere e attuare un piano di sviluppo regionale. C´è preliminarmente da chiedersi se l´amministrazione regionale abbia al suo interno le risorse tecniche per rispondere a un tale bisogno. Si può tranquillamente affermare che esse mancano se si guarda alle esperienze del passato, e che non è facile metterle su in breve tempo. Allora è necessario ricorrere a enti esterni, che non possono essere rappresentati da gruppi di studiosi di varie competenze (qualche economista, qualche urbanista, qualche sociologo riunitisi per l´occasione). Occorre una tecnostruttura di indiscussa serietà culturale e morale, che conosca bene, oltretutto, il rapporto che intercorre tra strategia di sviluppo nazionale e intervento regionale. Non sembra che a tale proposito si possa indicare un centro di studi migliore della Svimez.

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